Come promesso, oggi vi racconto
la fine dell’avventura “Quadrifoglio”.
Vi avviso però: dovrete armarvi di
pazienza e nervi saldi per arrivare al fondo di questo racconto.
Una volta
mandata in pensione la nostra macchina e compratane una nuova (il chè merita un
post a parte), ci rimaneva ancora una cosa da fare: restituire in Italia le targhe. Tutti,
infatti, sanno, tutti tranne me, che le targhe della macchina non si possono
incorniciare ad imperituro ricordo e neppure seppellire in giardino.
Se così
faceste, sareste condannati a continuare a pagare il bollo, dunque è necessario
restituirle al Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.).
Sapendo dove
restituirle , ci sentivamo già a metà dell’opera…ma fu il come (e, in parte, il
quando) a fregarci.
La 1° telefonata la fece Giuseppe e scoprimmo che le targhe
non si possono spedire perché bisogna firmare una serie di documenti in loco.
Il resto sembrava facile: bisognava portare il Certificato di Proprietà (CdP) e
la macchina sarebbe stata radiata per esportazione. Poiché avevamo programmato
le vacanze in Italia non ci preoccupammo.
Fortunatamente, e scoprirete perché
fortunatamente, il nostro CdP era scomparso durante il trasloco. Con ogni
probabilità, lo troveremo tra qualche anno, ma nel momento in cui lo cercammo
non ci fu verso di scovarlo. Decidemmo, quindi, di ritelefonare al P.R.A.
La
2°telefonata la feci io. Dovete sapere che io ho l’abitudine di raccontare
sempre tutto per filo e per segno (Giuseppe dice che riesco ad essere prolissa pure
in tedesco, anche se lo conosco poco).
Mentre, dunque, raccontavo all’impiegato
la storia della mia vita, lui ad un certo punto ammutolì e poi chiese: “Ma
quando venite in Italia?”. “Il 15 o il 16 Luglio dovremmo essere lì”, risposi
innocentemente.
“Allora non potete riconsegnare le targhe perché 14 luglio
entra in vigore una legge in base alla quale non si possono esportare le
macchine, se prima non si ottengono le targhe straniere, perciò dovete riportare la macchina in Italia”.
Rispiegai, poiché glielo avevo già detto, che la nostra macchina era stata
rottamata. “Non so cosa dirle, mi deve riportare la macchina”, disse lui
irremovibile.
Feci appello a tutto il mio self control per non mandarlo a quel
paese e a tutte le mie conoscenze legali, che mi derivano da anni di preziosa
amicizia con un avvocato.
Chiesi se questa legge era retroattiva.
“Ovviamente
no” fu la risposta.
“Dunque, quando ho esportato la macchina era legale?”,
chiesi.
“Si” fu la risposta.
Incalzai: “Quando l’ho rottamata, anche”.
Ancora
“Si”.
A quel cercai di metterlo con le spalle al muro: “Allora il semplice atto di riconsegna
delle targhe non può essere illegale”.
L’impiegato parve convinto, mi disse che,
allora, avrebbero radiato la macchina per rottamazione e non per esportazione.
Bisognava portare il certificato di rottamazione. Io lo avevo, ma in tedesco.
“Nessun problema, noi conosciamo i certificati di rottamazione di tutta Europa”, fu la risposta impettita.
Mi spiegò
ancora che avrei dovuto andare dai carabinieri per fare la denuncia di
smarrimento del CdP , di cui ormai io mi ero dimenticata, e allegare anche la
denuncia. Ero orgogliosa di me: problema visto e risolto.
Peccato che, nel mio
entusiasmo, non avevo chiesto il nome all’impiegato in questione e, come mi
fece notare Giuseppe, il popolo italiano è originale e fantasioso anche nell’interpretare
le leggi, quindi il suo deliberare avrebbe anche potuto non essere
condiviso.
Decidemmo di fare una 3°
telefonata per scoprire il nome dell’impiegato misterioso. Chiamai di nuovo io
e trovai un’impiegata che, non appena sentì nominare l’estero, mi passò il suo
diretto superiore (a cui chiesi subito il nome, stavolta).
La circolare era
troppo nuova, non avevano avuto il tempo di studiarla, quindi avrei dovuto
chiamare il giorno dopo (dell’impiegato anonimo nessuna traccia).
Richiamai (5°
telefonata). Erano preparati: confermata la radiazione per rottamazione
all’estero. Esultai…… troppo presto: dovevamo far tradurre il certificato di rottamazione
e fare certificare la traduzione da un tribunale italiano.
Evidentemente,
l’anonimo impiegato era l’unico a conoscere i certificati di rottamazione di
tutta Europa e i suoi colleghi non lo sapevano.
Avrei voluto urlare:per quanti
non lo sappiano, costo a parte (e non è poco), ci vuole un sacco di tempo per
far tradurre anche solo una paginetta, visto che il tribunale certifica solo le
traduzioni di traduttori da lui riconosciuti. Inoltre il suddetto tribunale ci
mette non meno di due settimane per apporre timbro e firma.
La nostra vacanza
durava solo 10 giorni.
Chiesi se era possibile fare un’autocertificazione in
cui attestavamo la rottamazione dell’auto.
“Assolutamente no”, fu la risposta.
Non avevo più risorse e mi stavo dando per vinta , quando il responsabile,
forse mosso a pietà, mi chiese :”Ma lei lo conosce il tedesco?”.
“Si, un po’”,
risposi.
”Allora non c’è problema ce lo traduca lei”.
Io rimasi un po’
perplessa: una autocertificazione firmata no, ma una traduzione casalinga sì ??.
Però, non dissi niente, ringraziai e chiesi di poter parlare direttamente con
lui quando ci fossimo presentati al PRA.
Acconsentì e il 15 luglio 2014,
riuscimmo a riconsegnare le targhe della nostra auto.
Per dovere di cronaca,
dobbiamo aggiungere che il responsabile in questione fu davvero molto gentile
con noi, ma non guardò il certificato di rottamazione, nè in tedesco né tradotto.
PS: Se qualcuno avesse
delucidazioni sul senso di questa nuova legge, entrata in vigore il 14/07/2014
e potesse spiegare come si può fare oggi a restituire le targhe italiane, una
volta avute quelle straniere, gliene saremmo grati.
Noi non abbiamo avuto la
forza di indagare per capirlo.
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