Buon Natale

Buon Natale
Tommaso e Giacomo sui maialini, simbolo del nostro quartiere.

venerdì 23 gennaio 2015

Si può vivere in Germania senza tedesco?

Non ho mai pensato che si potesse vivere in un paese senza conoscerne la lingua. 
Per questo, già prima di partire, tra la vendita della casa e l'organizzazione del trasloco, mi sono ritagliata il tempo (con l'aiuto dell'insostituibile Mattea) per fare un piccolo corso di tedesco-base. 
Purtroppo, non era sufficiente neppure per andare al mercato, ma non mi sono arresa. 
Da quando siamo arrivati né io né Giuseppe abbiamo smesso di studiare questa lingua perchè, per quanto ostica sia, ci pare indispensabile per costruire il nostro futuro.

La mia convinzione riguardo alla necessità del tedesco è stata però messa recentemente in discussione. 
Sia io che Giuseppe abbiamo incontrato tantissime persone che vivono qui da molti anni senza conoscere la lingua.

Come è possibile??

Esistono principalmente due classi sociali che, almeno apparentemente, possono fare a meno del tedesco (almeno noi ne abbiamo incontrate 2).

1)Coloro che lavorano in ambiti internazionali e hanno uno stipendio molto alto. Queste persone usano prevalentemente l'inglese come lingua veicolare, mandano i figli nella scuola internazionale (costo dai 14.000 ai 20.000 euro l'anno), dove le lezioni si tengono in inglese. 
Per i bisogni quotidiani, esistono i supermercati, dove non si ha bisogno di interagire, e professionisti che parlano inglese. 
Qui, quasi tutti parlano inglese e i soldi fanno il resto. 
Queste, sono solitamente persone che non hanno intenzione costruire la loro vita in Germania, anche se magari rimangono qui 20 anni: sono generalmente diplomatici, ingegneri e manager di grandi ditte. 
Questo comporta che, non solo non imparino il tedesco, ma che anche l'italiano venga gradualmente abbandonato. 
In casa cercano di parlare la lingua madre, ma, quasi sempre, va a finire che i figli parlino preferibilmente inglese tra di loro, con tanti saluti alla lingua e alla cultura di origine. 
Ultimamente ho conosciuto alcune signore italiane che si trovano in questa condizione. 
Hanno tutte un buon livello culturale eppure molte sono insensibili alla perdita della cultura italiana dei loro figli, tutte protese verso la cultura inglese, come l'unica capace di garantire un futuro prestigioso ai loro pargoli. 

Forse hanno ragione loro. 

Io voglio ostinarmi a pensare che la cultura italiana sia una cultura forte, oltre ad essere la cultura nella quale si è formato il nostro pensiero e la nostra visione del mondo. 
Credo che privarne i figli significhi privarli di una parte della loro identità, di cui, malgrado le contraddizioni attuali del nostro paese, dovrebbero andare fieri.

2)All'altro estremo della scala sociale, coloro che sono scappati dall'Italia in anni passati (dagli anni 50 agli anni 70) in cerca di un lavoro che potesse sfamare le loro famiglie. 
Spesso provengono dal sud Italia, con una conoscenza dell'italiano approssimativa. 
Hanno trovato lavoro, in ambiti in cui il tedesco non era necessario (in fabbriche in cui erano già presenti connazionali o, nella ristorazione). 

Ancora oggi questo è possibile. 

Non si sono interessati ad imparare la lingua per mancanza di mezzi (tempo, soprattutto) e perchè hanno sempre pensato che un giorno sarebbero tornati a “casa”. 
Molti, ora che sono in pensione hanno provato a tornare nel paese d'origine, ma sono ritornati qui dopo poco tempo perchè la loro vita, loro malgrado, è qui. Qualcuno vive un po' qui e un po' in Italia, lamentandosi, naturalmente di entrambe le nazioni (il privilegio dell'essere emigrati). 
Tutti costoro hanno potuto affrontare la vita quotidiana grazie alla rete sociale che avevano intorno. 
A Colonia, ad esempio c'è un quartiere italiano, la scuola italo-tedesca, dalle elementari alle superiori e molti professionisti parlano italiano. 
La stessa cosa accade agli arabi, ai turchi e a tutte le etnie che hanno una forte presenza in Germania. 
Questo rende possibile creare una piccola patria (o un ghetto, dipende dai punti di vista) in Germania. 
I figli di queste persone, generalmente trentenni ora, spesso hanno rifiutato le loro origini italiane perchè sono state per loro fonte di emarginazione ed imbarazzo. 
Ne abbiamo incontrati alcuni che hanno addirittura completamente e volutamente dimenticato l'italiano.

Sembra paradossale, ma in entrambe i casi,  il rifiuto del tedesco ha portato come diretta conseguenza il rifiuto o, la poca considerazione,  dell'italiano da parte delle seconde generazioni.

Nel mezzo, quelli che vogliono tutto, quelli che vorrebbero che i loro figli si integrassero in Germania senza dimenticare le radici e la cultura italiana, quelli che seguono la strada incerta di un equilibrio che non è mai scontato.
In mezzo ci siamo anche no,i che ricordiamo ogni giorno ai nostri bambini le loro origini, che lottiamo contemporaneamente contro il nostro falsch-Deusch (il tedesco sbagliato) e contro le forme scorrette dell'italiano in cui si esprimono, talvolta, i nostri figli.

A metà tra Goethe e Dante c'è la nostra scommessa più grande.






venerdì 16 gennaio 2015

Saldi, Silhouette e Shopping

3 S di fronte alle quali ogni donna deve prendere posizione, prima o poi. Oggi il mio post cercherà di raccontare come le vivo io qui in Germania e quali differenze abbia riscontrato rispetto all'Italia.


Cari amici uomini, se pensate che la taglia della vostra compagna sia sempre più o meno quella della commessa del negozio in cui avete deciso di comprarle il regalo e pensate che “l'abbinamento dei colori” sia una malattia che non correte il rischio di prendere, otre a consigliarvi di non leggere questo scritto, vi ricordo che i gioielli sono taglia unica. 
Se, al contrario, non pensate una compagna che vi chiede di accompagnarla a fare spese stia dando forma alla vostra personale visione dell'inferno, allora questo post potrà interessare anche a voi.

                            quando lo shopping è contagioso (gli acquisti di mio marito)

Io penso che le donne si vestano e si agghindino per piacere a se stesse e per avere l'approvazione delle altre donne, non per conquistare gli uomini. 
Ho maturato questa, che per me è una certezza, nel corso degli anni, osservando gli atteggiamenti di uomini e donne. 
Le mie amiche, ad esempio, notano sempre se ho perso mezzo chilo, se ho una maglia nuova, se il colore dei miei capelli è mezzo tono più chiaro o più scuro. Vi assicuro che nessuna di noi è una fashion victim, ma certe cose le abbiamo nel DNA.

Gli uomini, invece, non notano niente di tutto questo; i più attenti si accorgono se avete tagliato i capelli, solo se tra il prima e il dopo ci sono almeno 10 cm di differenza o se eravate bionde e vi presentate more (il rischio, a quel punto, è che non vi riconoscano). 
La “cellulite” è un concetto che fanno fatica a comprendere, un po' come per noi (almeno per una parte di noi) il “fuorigioco”. 
Non parlo per le nuove generazioni poiché ho conosciuto, quando insegnavo, alcuni ragazzi maniaci di lampade e depilazione, che usavano più creme delle coetanee femmine,

Io non sono mai stata una taglia 42, nemmeno da giovanissima, ora che di 42 ho gli anni (quasi), la mia taglia in Italia era (e immagino sia ancora) una 48, se fortunata una 46. 
Per me trovare vestiti, maglie e pantaloni è sempre stato difficile. I negozi normali arrivano fino alla taglia 46, i negozi che vendono taglie grosse hanno delle 48 troppo grandi. 
Persino in quei pochi negozi che hanno sia taglie normali che grandi facevo fatica a trovare qualcosa che mi stesse bene.
 Inoltre, i prezzi erano sempre piuttosto alti e i modelli antiquati e fuori moda. Insomma, un incubo. 

Tornavo a casa quasi sempre molto triste, con la sensazione di essere in qualche modo sbagliata.

Vestirsi, al di là degli eccessi di chi ne fa una ragione di vita, è un modo di comunicare al mondo la nostra personalità e, magari, il nostro umore. 
Non poterlo fare, in qualche modo, ci discrimina. 
Non ho mai capito e non riesco a capire tuttora, come un paese universalmente considerato patria del buon gusto possa non tenere in considerazione una fetta di mercato così ampia, ma bando alle polemiche. 

Qui in Germania vesto una taglia 42 e questa è già una bella soddisfazione.
Al di là del numero, però, che è solo un numero (anche se molto consolatorio), quello che è davvero meraviglioso è che in quasi ogni negozio in cui sono entrata ho trovato modelli carini che mi stanno bene, non mi fanno sembrare mia nonna e che, soprattutto, mi sono costati pochissimo.

                                                  i miei acquisti

Qui abiti, maglie e pantaloni sono prodotti almeno dalla taglia 38 alla 50 (corrispondenti taglie italiane), spesso anche fino alla taglia 54/56. Molti negozi hanno le taglie conformate persino dei costumi da bagno, in moltissimi modelli. 
Io ho trovato persino i leggins della mia taglia. 
Non bisogna andare in negozi specifici. 
Inoltre, in Germania ci sono molte catene di Discount del tessile, dove i prezzi sono davvero molto convenienti, i vestiti sono carini, in tutte le taglie e con una qualità piuttosto buona (nulla a che fare con i molti negozi cinesi presenti in Italia).

                                Spesa totale: 12 maglie = 147 euro


Fondamentale, qui nessuno, né uomini né donne osservano come sei vestito.
C'è una grandissima libertà e, sfatiamo un mito, non ho visto molte persone con camice coloratissime o, sandali con calzini. 
Vero è che i tacchi sono meno utilizzati, anche perchè quasi tutti vanno in bicicletta e con i trampoli non è molto comodo. 
L' abbigliamento è un poco più sportivo e vi è una maggior tolleranza verso le gambe non depilate, ma, oltre a questo, non ho riscontrato grandissime differenze. 
Certo, il buon gusto non è universalmente diffuso come in Italia, ma, in compenso, si respira una maggior tranquillità perchè passeggiando non ti sentirai mai osservata, neppure se ti vesti in modo stravagante. 

Per me è un grandissimo sollievo e, con maggiori abiti a disposizione a un prezzo conveniente, ho potuto rifarmi il guardaroba senza spendere un occhio della testa e posso vestirmi con uno stile che mi somiglia di più.   
Questo incide sul mio buon'umore e sulla sicurezza in me stessa (forse avrei dovuto venire qui a 20 anni, quando davvero avevo bisogno di un'iniezione di fiducia). 

Se non siete una taglia 42, ma avete voglia di firmare una tregua con la bilancia, magari una vacanza da queste parti può aiutarvi a fare pace con il vostro peso.


giovedì 8 gennaio 2015

Un anno di Germania

Un bilancio, dopo il nostro primo anno di “krukkenvita” è naturale. 
Il nostro è sicuramente positivo. 
Dopo aver passato le tre fasi dell'immigrato, teorizzate da mio marito Giuseppe, possiamo dire, con serenità, che la Germania è un paese adatto a noi. 

Le tre gneppo-fasi (gneppo è il nomignolo dato da me e i bambini a Giuseppe) meritano una piccola spiegazione. 
Mio marito sostiene che ogni immigrato passi attraverso tre fasi differenti, un po' come le cinque fasi dell'accettazione del dolore.

La prima fase: Amo la Germania. 
Appena arrivati si ha la tendenza a notare solo le qualità di questo paese, (se lo avete scelto voi), senza vederne alcun difetto. 
Esattamente come quando, da adolescenti, ci si innamora. 
Il nostro lui è un principe azzurro, la nostra lei un angelo rubato al paradiso. Come nell'innamoramento, questa fase dura poco e si arriva presto alla

Seconda fase: Odio la Germania. 
E' il momento dello scontro tra paese sognato e paese reale.
La Germania non è il paradiso: non trovate tutte le prelibatezze italiane e, quelle che trovate, non hanno lo stesso gusto. 
La lingua, che avevate pensato di poter imparare in sei mesi, rimane una sconosciuta e, malgrado i vostri sforzi e il vostro impegno, non riuscite ancora a capire quando la commessa del supermercato vi chiede se volete o meno una borsa. 
Anche qui le vecchiette non raccolgono i bisognini del loro cane e a ben guardare c'è anche troppo verde e persino troppe biciclette. 
E' il momento, insomma di: “Ma chi me l'ha fatto fare?” 
Questa fase dura a seconda del carattere, qualcuno non la supera mai. 
Se siete equilibrati e fortunati giungerete infine alla

Terza fase: apprezzo la Germania. 
Non è il paese perfetto, malgrado qualche tedesco ve lo voglia far credere, ma può essere un buon posto con pregi e difetti come ogni posto del mondo. Imparerete che i tedeschi non sono tutti uguali (chissà perchè lo avevate dimenticato), ma, soprattutto che vivere bene dipende da voi.

Per passare dalla fase due alla fase tre, è necessario che non siano troppe o, insopportabili per voi le caratteristiche del paese.

Qui di seguito cerchiamo di elencarne alcune, che potrebbero creare qualche difficoltà. 
Premesso che, come l'Italia, ogni regione è differente e generalizzare non è proprio possibile (un po' come dire che l'Italia è il paese del sole e poi andare a vivere a Milano, dove la nebbia la potrebbero esportare). 
Dunque, per evitare equivoci, tenete presente che noi non ci riferiamo alla Germania ma alla zona Koeln-Bonn e alla nostra esperienza personale. Qualcosa potrà avere valore universale, molto no.

1°:Il tedesco è una lingua complicatissima, questo è universalmente riconosciuto, soprattutto per un italiano: costruzione delle frasi, posizione dei verbi, declinazioni e pronuncia sono molto lontane dalla nostra lingua. Potrebbero peggiorarla solo usando l'alfabeto cirillico. 
Persino i tedeschi sono consapevoli di avere una lingua difficile; molti ci hanno confessato di essere molto contenti di essere tedeschi per non dover studiare il tedesco. 
Questo dice tutto.


2°:La Germania non ha il clima della Sicilia. 
Sembra banale, ma il clima e la luce sono elementi che incidono davvero moltissimo sull'umore e sul buon umore. 
Chi arriva dal nord-Italia, troverà un clima è un paesaggio simili a quelli lasciati, ma per chi arriva dal sud o, dal centro il discorso è molto diverso. 
In questo momento le temperature a Bonn vanno dai 3 ai 12 gradi di giorno e non scendono oltre i -4 di notte. 
Al sud si toccano i -10 di giorno e di notte anche i -21 (un amico è appena tornato da Uelm con queste informazioni). 
Dovete tenere presente che la Germania è invertita rispetto all'Italia, quindi il sud è molto più freddo del nord perchè è montuoso.

3°: La Germania richiede pazienza. 
Il sistema tedesco è piuttosto complicato, (talvolta, molto complicato), perciò ci vuole un po' di tempo (talvolta, molto tempo) per riuscire a capire e ad entrare a far parte del meccanismo burocratico. 
Noi stiamo ancora imparando. 
Poichè venite dall'Italia non sarà tanto il sistema ad essere difficile da affrontare, quanto il fatto che ve lo spiegheranno in tedesco, tutti gli enti pubblici vi manderanno lettere in tedesco e cercheranno di comunicare con voi in tedesco. 
Tenete presente, però, che tutti conoscono l'inglese e, sia pure a malincuore, vi parleranno in inglese se lo chiedete con gentilezza. 
Potrete, inoltre, trovare un valido aiuto presso i consolati e utilizzando internet. 
A differenza del sistema italiano, quello tedesco non è creativo e cambia molto lentamente quindi, una volta imparate le regole, saranno più o meno sempre le stesse. 
A quel punto ne saprete, probabilmente, più dei tedeschi stessi, con la consolazione di potervi confrontare con una burocrazia che funziona quasi sempre e non quasi mai e che, se anche sbagliate, non vi tratta come criminali.

4°: Mettete in conto un periodo di ansia continua.
Fino a che non riuscite a mettere tutto in ordine, possono verificarsi alcuni malintesi, poiché il sistema, essendo lento, potrebbe metterci del tempo ad “assorbirvi”. 
Ad un italiano abituato ad errori burocratici che non trovano soluzione, questo può far venire l'infarto. 
Abbandonate questo pensiero appena varcata la frontiera: nel sistema tedesco tutto ha una soluzione. 

Vi racconto una delle nostre esperienze. 
A settembre di quest'anno ci è arrivata una lettera dal comune di Bonn in cui ci comunicavano che stavano dando inizio ad una procedura di infrazione amministrativa contro di noi perchè Tommaso non risultava iscritto a scuola. A me è venuto un colpo e, poiché sono ansiosa, ho immaginato uno scenario con tribunali, assistenti sociali ecc ecc. 
In preda al panico ho telefonato subito al numero indicato (qui la tua pratica è affidata ad una persona sola, che sarà il tuo referente fino alla conclusione della stessa). 
Ahimè la mia referente era in vacanza e sarebbe tornata solo il lunedì seguente (era giovedì), ma la sua collega, sentendo la mia agitazione, mi ha ascoltato e quando ha sentito che Tommaso aveva già anche ricevuto la pagella, mi ha detto che bastava inviarla e tutto si sarebbe risolto. 
Incredula, ho spedito la pagella sia via mail che via posta. (Avrei voluto anche portarne una copia a mano, per sicurezza). 
Il lunedì alle 9,30 ricevemmo una mail in cui ci si ringraziava per aver spedito la pagella e che, in base alle informazioni fornite, il procedimento contro di noi non avrebbe avuto seguito. 
Il mercoledì ricevemmo anche la lettera ufficiale. 
Anche in Germania possono accadere i disguidi, qui si riescono a risolvere in tempi umani.

5°: Abbandonate la furbizia. 
A questo proposito devo fare una confessione. 
Malgrado mi sia sempre considerata una persona ligia alle regole, mi sono accorta che, ogni tanto, di fronte a regole che ritenevo particolarmente inutili (ce ne sono anche qui, naturalmente) o, a eccessi di burocrazia, mi è venuta la tentazione di cercare una scorciatoia. 
Non so, se per nostra ignoranza o, per efficienza del sistema, ma in Germania è piuttosto inusuale anche solo provare ad aggirare le leggi. 
 “Lex , dura lex, sed lex” dicevano i latini e qui, evidentemente, sono all'antica. Naturalmente, anche qui c'è chi ci prova e anche chi tiene comportamenti apertamente criminali. 
Del resto, come dice la mia carissima amica avvocato, se i codici penali di tutto il mondo prevedono gli stessi reati, un motivo c'è. 
Differente è la mentalità, i furbi sono l'eccezione, non la regola ed è chiara, fin dalle scuole elementari, la consapevolezza del fatto che chi infrange le regole danneggia tutti.


Se quanto scritto vi pare accettabile, se siete disponibili al cambiamento di abitudini e sapete le difficoltà con il sorriso sulle labbra, la Germania è un paese che ha molto da offrire. 

giovedì 1 gennaio 2015

Con uno sguardo al passato

BUON ANNO


Anzitutto, vorrei scusarmi per il mio lungo silenzio, non è da me.
Purtroppo, proprio prima di Natale, il mio computer ha deciso di passare a miglior vita. 
Comprarne uno nuovo, installare la tastiera italiana e tutti i programmi in italiano ha richiesto un certo tempo, ma ce l'abbiamo fatta. 
L'ho ritirato oggi e ho pensato di inaugurarlo con voi.

Tra qualche giorno sarà il primo anniversario in Germania e mi viene naturale ricordare i nostri ultimi giorni in Italia. 
Ripenso a come abbiamo passato l'ultima settimana del 2013 e la prima settimana del 2014: Giuseppe litigava in italo-tedesco per farsi arrivare, in tempo per il nostro arrivo, i mobili ordinati on line all'ikea. 
Non arrivarono mai e lui dovette, proprio il 31 dicembre, andare in una filiale a prendere almeno i letti per i bambini e la nonna. 

Noi eravamo accampati a casa di mia mamma dal 20 dicembre perchè avevamo venduto tutti i mobili che non potevamo portare con noi. 
Il 30 dicembre avevamo caricato il furgone che avrebbe dovuto portare quel poco della nostra vita italiana che avevamo deciso di conservare. 
Quel poco, però, era troppo pesante per un solo furgone perchè avevamo molti libri. Così, io passai S. Silvestro al telefono. 
Alla fine, il traslocatore riuscì a trovare un altro furgone disposto a partire il 2 di gennaio per la Germania. 
Poterono partire, però, solo il 3 gennaio. 
Almeno riuscirono a partire, anche se rimanemmo in forse fino all'ultimo giorno: se avesse nevicato avrebbero chiuso i passi e ciao ciao trasloco fino a data da destinarsi. 

Un piccolo consiglio, tanto banale da poter sfuggire: se potete, traslocate in primavera o, in estate o, in autunno; ogni stagione è meglio dell'inverno, soprattutto se il viaggio comporta il passaggio attraverso catene montuose. 

Purtroppo, oltre alla scelta del peggior periodo dell'anno per i trasferimenti, avevamo anche un programma di impegni molto serrato, che lasciava pochissimo spazio ai contrattempi. 
Tutti sanno che, invece, i contrattempi tanto meno sono graditi, tanto più si divertono a scompigliare i progetti, mettendo a durissima prova nervi e sanità mentale. 
Naturalmente così accadde: per aspettare i traslocatori (che, oltre a tutto il resto,si erano pure persi un paio di volte), Giuseppe rischiò di perdere l'areo e dovette lasciare loro un mazzo di chiavi, con l'indicazione di metterle nella nostra buca delle lettere, una volta finito.
Solo dopo molte peripezie, riuscì a prendere il suo aereo e ad arrivare a mezzogiorno del 4 gennaio a Torino. 
Lì noi lo attendevamo con il motore della macchina acceso per andare di corsa all'agenzia di pratiche auto, che era rimasta aperta nella pausa pranzo del sabato del ponte della befana solo per farci fare la voltura con la quale avrei ceduto la mia amatissima macchina. 
Il nostro meccanico di fiducia, che risiede di fronte alla suddetta agenzia e la cui officina era chiusa perchè era sempre il sabato del ponte della befana, aveva lasciato alle impiegate le chiavi della nostra amata “Quadrifoglio”, per darci modo di partire in tempo utile. 
Noi lasciammo loro il denaro che dovevamo a lui per il lavoro di messa a punto pre-partenza. 

Per dovere di onestà, mi corre l'obbligo, a questo punto, di spezzare una lancia a favore del bistrattato popolo italiano. 
Qui in Germania una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere. 
Il motto dei tedeschi è :”Non è un problema mio” (il chè spiega molte cose). Se, per caso, il vostro problema rientra nell'orario e negli obblighi del lavoro di un tedesco, lui vi aiuterà volentieri, con professionalità e gentilezza, ma guai a chiedere un minuto oltre l'orario di ufficio o una competenza che ecceda di una virgola la sua mansione; non solo non vi aiuterà, ma lo considererà una gravissima mancanza di rispetto. 
Di questa mentalità fa parte anche “la domanda giusta” : per ottenere risposte, bisogna fare ai tedeschi domande precise. 
Esempio: siamo andati all'ufficio delle entrate e abbiamo chiesto se “dovevamo fare la dichiarazione dei redditi”. 
Ci hanno risposto di no e noi siamo tornati a casa sereni. 
Solo dopo, da un amico, abbiamo saputo che non eravamo obbligati a farla, ma che, facendola, ne avremmo ricavato indubbi vantaggi. 
In Italia, forse perchè il sistema funziona meno, la gente è più disponibile, almeno questa è la nostra esperienza. 

Dunque, con l'aiuto di persone davvero comprensive e generose, riuscimmo a fare tutto. 
Il mattino dopo alle 5, cercavamo di infilare le valigie rimaste nel bagagliaio: l'impresa era disperata e a farne le spese furono le nostre provviste e il mio cuscino, ma, infine, riuscimmo a incastrarci tutti. 

Partimmo. 

Era il momento degli addii. 

Quello strano spazio-tempo che è il viaggio, dove altro non si può fare che andare, invitava alle riflessioni. 
Prima, non c'era stato il tempo, al nostro arrivo la vita ci avrebbe di nuovo inghiottiti. 
La giornata era uggiosa e sembrava essere l'emanazione dei nostri sentimenti: stavamo lasciando tutto quello che conoscevamo, sapevamo che mai più saremmo stati completamente italiani, mai avremmo potuto (o voluto) diventare completamente tedeschi. 
Eravamo consapevoli del fatto che il nostro cuore e la nostra identità, da quel momento in poi, sarebbero sempre stati divisi a metà, come quelli di tutti gli emigranti. 
La nostalgia era accompagnata dalla rabbia, quella di chi ha lottato e perso, quella di chi si sente buttato fuori dal proprio paese, quella di chi è costretto ad andarsene, perchè chi doveva proteggerci è stato il nostro peggior aguzzino. 

Ogni emozione, però, ogni sensazione era sovrastata e vinta dalla felicità di essere di nuovo tutti insieme. 

Avevamo passato sei mesi separati: Giuseppe a cercare di costruire per noi un futuro qui; io, i bambini e la nonna Mattea a cercare di chiudere con dignità la nostra vita in Italia. 
La lontananza era stata pesantissima, Skype, se pur utilissimo, non aveva potuto sostituire la presenza. 
Per Giuseppe, poi, la solitudine era aggravata dal paese nuovo e dalla lingua sconosciuta. 
I bambini avevano sentito la mancanza del loro papà oltremisura, soprattutto Tommaso. 
Ora potevamo lasciarci tutto questo alle spalle, il futuro che ci aspettava era incerto, ma era insieme: questa era la nostra forza e il nostro desiderio più grande.

Realizzare i propri desideri ha un costo, per questo bisogna stare attenti a ciò che si desidera, ma ne vale sempre la pena. 

A TUTTI VOI vogliamo augurare che il 2015 porti alla realizzazione dei vostri desideri.