BUON
ANNO
Anzitutto,
vorrei scusarmi per il mio lungo silenzio, non è da me.
Purtroppo,
proprio prima di Natale, il mio computer ha deciso di
passare a miglior vita.
Comprarne uno nuovo, installare la tastiera
italiana e tutti i programmi in italiano ha richiesto un certo tempo,
ma ce l'abbiamo fatta.
L'ho ritirato oggi e ho pensato di inaugurarlo
con voi.
Tra
qualche giorno sarà il primo anniversario in Germania e mi viene
naturale ricordare i nostri ultimi giorni in Italia.
Ripenso a come
abbiamo passato l'ultima settimana del 2013 e la prima settimana del
2014: Giuseppe litigava in italo-tedesco per farsi arrivare, in tempo
per il nostro arrivo, i mobili ordinati on line all'ikea.
Non
arrivarono mai e lui dovette, proprio il 31 dicembre, andare in una
filiale a prendere almeno i letti per i bambini e la nonna.
Noi
eravamo accampati a casa di mia mamma dal 20 dicembre perchè avevamo
venduto tutti i mobili che non potevamo portare con noi.
Il 30
dicembre avevamo caricato il furgone che avrebbe dovuto portare quel
poco della nostra vita italiana che avevamo deciso di conservare.
Quel poco, però, era troppo pesante per un solo furgone perchè
avevamo molti libri. Così, io passai S. Silvestro al telefono.
Alla
fine, il traslocatore riuscì a trovare un altro furgone disposto a partire il 2 di gennaio
per la Germania.
Poterono partire, però, solo il 3 gennaio.
Almeno
riuscirono a partire, anche se rimanemmo in forse fino all'ultimo
giorno: se avesse nevicato avrebbero chiuso i passi e ciao ciao
trasloco fino a data da destinarsi.
Un piccolo consiglio, tanto
banale da poter sfuggire: se potete, traslocate in primavera o, in
estate o, in autunno; ogni stagione è meglio dell'inverno,
soprattutto se il viaggio comporta il passaggio attraverso catene
montuose.
Purtroppo, oltre alla scelta del peggior periodo dell'anno
per i trasferimenti, avevamo anche un programma di impegni molto
serrato, che lasciava pochissimo spazio ai contrattempi.
Tutti sanno
che, invece, i contrattempi tanto meno sono graditi, tanto più si
divertono a scompigliare i progetti, mettendo a durissima prova nervi
e sanità mentale.
Naturalmente così accadde: per aspettare i
traslocatori (che, oltre a tutto il resto,si erano pure persi un paio
di volte), Giuseppe rischiò di perdere l'areo e dovette lasciare
loro un mazzo di chiavi, con l'indicazione di metterle nella nostra
buca delle lettere, una volta finito.
Solo
dopo molte peripezie, riuscì a prendere il suo aereo e ad arrivare a
mezzogiorno del 4 gennaio a Torino.
Lì noi lo attendevamo con il
motore della macchina acceso per andare di corsa all'agenzia di
pratiche auto, che era rimasta aperta nella pausa pranzo del sabato
del ponte della befana solo per farci fare la voltura con la quale
avrei ceduto la mia amatissima macchina.
Il nostro meccanico di
fiducia, che risiede di fronte alla suddetta agenzia e la cui officina era chiusa perchè
era sempre il sabato del ponte della befana, aveva lasciato alle
impiegate le chiavi della nostra amata “Quadrifoglio”, per darci
modo di partire in tempo utile.
Noi lasciammo loro il denaro che dovevamo a lui per il
lavoro di messa a punto pre-partenza.
Per dovere di onestà, mi corre
l'obbligo, a questo punto, di spezzare una lancia a favore del
bistrattato popolo italiano.
Qui in Germania una cosa del genere non
sarebbe mai potuta accadere.
Il motto dei tedeschi è :”Non è un
problema mio” (il chè spiega molte cose). Se, per caso, il vostro
problema rientra nell'orario e negli obblighi del lavoro di un
tedesco, lui vi aiuterà volentieri, con professionalità e gentilezza, ma guai a chiedere un minuto oltre
l'orario di ufficio o una competenza che ecceda di una virgola la sua mansione; non solo non vi aiuterà, ma lo considererà una
gravissima mancanza di rispetto.
Di questa mentalità fa parte anche
“la domanda giusta” : per ottenere risposte, bisogna fare ai tedeschi domande
precise.
Esempio: siamo andati all'ufficio delle entrate e abbiamo
chiesto se “dovevamo fare la dichiarazione dei redditi”.
Ci hanno
risposto di no e noi siamo tornati a casa sereni.
Solo dopo, da un
amico, abbiamo saputo che non eravamo obbligati a farla, ma che, facendola, ne avremmo ricavato indubbi vantaggi.
In Italia, forse
perchè il sistema funziona meno, la gente è più disponibile,
almeno questa è la nostra esperienza.
Dunque, con l'aiuto di persone
davvero comprensive e generose, riuscimmo a fare tutto.
Il mattino
dopo alle 5, cercavamo di infilare le valigie rimaste nel bagagliaio:
l'impresa era disperata e a farne le spese furono le nostre provviste
e il mio cuscino, ma, infine, riuscimmo a incastrarci tutti.
Partimmo.
Era il momento degli addii.
Quello strano spazio-tempo che
è il viaggio, dove altro non si può fare che andare, invitava alle
riflessioni.
Prima, non c'era stato il tempo, al nostro arrivo la
vita ci avrebbe di nuovo inghiottiti.
La giornata era uggiosa e
sembrava essere l'emanazione dei nostri sentimenti: stavamo lasciando
tutto quello che conoscevamo, sapevamo che mai più saremmo stati
completamente italiani, mai avremmo potuto (o voluto) diventare
completamente tedeschi.
Eravamo consapevoli del fatto che il nostro
cuore e la nostra identità, da quel momento in poi, sarebbero sempre
stati divisi a metà, come quelli di tutti gli emigranti.
La
nostalgia era accompagnata dalla rabbia, quella di chi ha lottato e
perso, quella di chi si sente buttato fuori dal proprio paese, quella
di chi è costretto ad andarsene, perchè chi doveva proteggerci è
stato il nostro peggior aguzzino.
Ogni emozione, però, ogni
sensazione era sovrastata e vinta dalla felicità di essere di nuovo
tutti insieme.
Avevamo passato sei mesi separati: Giuseppe a cercare
di costruire per noi un futuro qui; io, i bambini e la nonna Mattea a
cercare di chiudere con dignità la nostra vita in Italia.
La
lontananza era stata pesantissima, Skype, se pur utilissimo, non
aveva potuto sostituire la presenza.
Per Giuseppe, poi, la solitudine
era aggravata dal paese nuovo e dalla lingua sconosciuta.
I bambini
avevano sentito la mancanza del loro papà oltremisura, soprattutto
Tommaso.
Ora potevamo lasciarci tutto questo alle spalle, il futuro
che ci aspettava era incerto, ma era insieme: questa era la nostra
forza e il nostro desiderio più grande.
Realizzare
i propri desideri ha un costo, per questo bisogna stare attenti a ciò
che si desidera, ma ne vale sempre la pena.
A TUTTI VOI vogliamo
augurare che il 2015 porti alla realizzazione dei vostri desideri.
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