Buon Natale

Buon Natale
Tommaso e Giacomo sui maialini, simbolo del nostro quartiere.

giovedì 1 gennaio 2015

Con uno sguardo al passato

BUON ANNO


Anzitutto, vorrei scusarmi per il mio lungo silenzio, non è da me.
Purtroppo, proprio prima di Natale, il mio computer ha deciso di passare a miglior vita. 
Comprarne uno nuovo, installare la tastiera italiana e tutti i programmi in italiano ha richiesto un certo tempo, ma ce l'abbiamo fatta. 
L'ho ritirato oggi e ho pensato di inaugurarlo con voi.

Tra qualche giorno sarà il primo anniversario in Germania e mi viene naturale ricordare i nostri ultimi giorni in Italia. 
Ripenso a come abbiamo passato l'ultima settimana del 2013 e la prima settimana del 2014: Giuseppe litigava in italo-tedesco per farsi arrivare, in tempo per il nostro arrivo, i mobili ordinati on line all'ikea. 
Non arrivarono mai e lui dovette, proprio il 31 dicembre, andare in una filiale a prendere almeno i letti per i bambini e la nonna. 

Noi eravamo accampati a casa di mia mamma dal 20 dicembre perchè avevamo venduto tutti i mobili che non potevamo portare con noi. 
Il 30 dicembre avevamo caricato il furgone che avrebbe dovuto portare quel poco della nostra vita italiana che avevamo deciso di conservare. 
Quel poco, però, era troppo pesante per un solo furgone perchè avevamo molti libri. Così, io passai S. Silvestro al telefono. 
Alla fine, il traslocatore riuscì a trovare un altro furgone disposto a partire il 2 di gennaio per la Germania. 
Poterono partire, però, solo il 3 gennaio. 
Almeno riuscirono a partire, anche se rimanemmo in forse fino all'ultimo giorno: se avesse nevicato avrebbero chiuso i passi e ciao ciao trasloco fino a data da destinarsi. 

Un piccolo consiglio, tanto banale da poter sfuggire: se potete, traslocate in primavera o, in estate o, in autunno; ogni stagione è meglio dell'inverno, soprattutto se il viaggio comporta il passaggio attraverso catene montuose. 

Purtroppo, oltre alla scelta del peggior periodo dell'anno per i trasferimenti, avevamo anche un programma di impegni molto serrato, che lasciava pochissimo spazio ai contrattempi. 
Tutti sanno che, invece, i contrattempi tanto meno sono graditi, tanto più si divertono a scompigliare i progetti, mettendo a durissima prova nervi e sanità mentale. 
Naturalmente così accadde: per aspettare i traslocatori (che, oltre a tutto il resto,si erano pure persi un paio di volte), Giuseppe rischiò di perdere l'areo e dovette lasciare loro un mazzo di chiavi, con l'indicazione di metterle nella nostra buca delle lettere, una volta finito.
Solo dopo molte peripezie, riuscì a prendere il suo aereo e ad arrivare a mezzogiorno del 4 gennaio a Torino. 
Lì noi lo attendevamo con il motore della macchina acceso per andare di corsa all'agenzia di pratiche auto, che era rimasta aperta nella pausa pranzo del sabato del ponte della befana solo per farci fare la voltura con la quale avrei ceduto la mia amatissima macchina. 
Il nostro meccanico di fiducia, che risiede di fronte alla suddetta agenzia e la cui officina era chiusa perchè era sempre il sabato del ponte della befana, aveva lasciato alle impiegate le chiavi della nostra amata “Quadrifoglio”, per darci modo di partire in tempo utile. 
Noi lasciammo loro il denaro che dovevamo a lui per il lavoro di messa a punto pre-partenza. 

Per dovere di onestà, mi corre l'obbligo, a questo punto, di spezzare una lancia a favore del bistrattato popolo italiano. 
Qui in Germania una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere. 
Il motto dei tedeschi è :”Non è un problema mio” (il chè spiega molte cose). Se, per caso, il vostro problema rientra nell'orario e negli obblighi del lavoro di un tedesco, lui vi aiuterà volentieri, con professionalità e gentilezza, ma guai a chiedere un minuto oltre l'orario di ufficio o una competenza che ecceda di una virgola la sua mansione; non solo non vi aiuterà, ma lo considererà una gravissima mancanza di rispetto. 
Di questa mentalità fa parte anche “la domanda giusta” : per ottenere risposte, bisogna fare ai tedeschi domande precise. 
Esempio: siamo andati all'ufficio delle entrate e abbiamo chiesto se “dovevamo fare la dichiarazione dei redditi”. 
Ci hanno risposto di no e noi siamo tornati a casa sereni. 
Solo dopo, da un amico, abbiamo saputo che non eravamo obbligati a farla, ma che, facendola, ne avremmo ricavato indubbi vantaggi. 
In Italia, forse perchè il sistema funziona meno, la gente è più disponibile, almeno questa è la nostra esperienza. 

Dunque, con l'aiuto di persone davvero comprensive e generose, riuscimmo a fare tutto. 
Il mattino dopo alle 5, cercavamo di infilare le valigie rimaste nel bagagliaio: l'impresa era disperata e a farne le spese furono le nostre provviste e il mio cuscino, ma, infine, riuscimmo a incastrarci tutti. 

Partimmo. 

Era il momento degli addii. 

Quello strano spazio-tempo che è il viaggio, dove altro non si può fare che andare, invitava alle riflessioni. 
Prima, non c'era stato il tempo, al nostro arrivo la vita ci avrebbe di nuovo inghiottiti. 
La giornata era uggiosa e sembrava essere l'emanazione dei nostri sentimenti: stavamo lasciando tutto quello che conoscevamo, sapevamo che mai più saremmo stati completamente italiani, mai avremmo potuto (o voluto) diventare completamente tedeschi. 
Eravamo consapevoli del fatto che il nostro cuore e la nostra identità, da quel momento in poi, sarebbero sempre stati divisi a metà, come quelli di tutti gli emigranti. 
La nostalgia era accompagnata dalla rabbia, quella di chi ha lottato e perso, quella di chi si sente buttato fuori dal proprio paese, quella di chi è costretto ad andarsene, perchè chi doveva proteggerci è stato il nostro peggior aguzzino. 

Ogni emozione, però, ogni sensazione era sovrastata e vinta dalla felicità di essere di nuovo tutti insieme. 

Avevamo passato sei mesi separati: Giuseppe a cercare di costruire per noi un futuro qui; io, i bambini e la nonna Mattea a cercare di chiudere con dignità la nostra vita in Italia. 
La lontananza era stata pesantissima, Skype, se pur utilissimo, non aveva potuto sostituire la presenza. 
Per Giuseppe, poi, la solitudine era aggravata dal paese nuovo e dalla lingua sconosciuta. 
I bambini avevano sentito la mancanza del loro papà oltremisura, soprattutto Tommaso. 
Ora potevamo lasciarci tutto questo alle spalle, il futuro che ci aspettava era incerto, ma era insieme: questa era la nostra forza e il nostro desiderio più grande.

Realizzare i propri desideri ha un costo, per questo bisogna stare attenti a ciò che si desidera, ma ne vale sempre la pena. 

A TUTTI VOI vogliamo augurare che il 2015 porti alla realizzazione dei vostri desideri.



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