Non
ho mai pensato che si potesse vivere in un
paese senza conoscerne la lingua.
Per questo, già prima di partire,
tra la vendita della casa e l'organizzazione del trasloco, mi sono
ritagliata il tempo (con l'aiuto dell'insostituibile Mattea) per fare
un piccolo corso di tedesco-base.
Purtroppo, non era sufficiente neppure
per andare al mercato, ma non mi sono arresa.
Da quando siamo arrivati
né io né Giuseppe abbiamo smesso di studiare questa lingua perchè,
per quanto ostica sia, ci pare indispensabile per costruire il
nostro futuro.
La
mia convinzione riguardo alla necessità del tedesco è stata però
messa recentemente in discussione.
Sia io che Giuseppe abbiamo
incontrato tantissime persone che vivono qui da molti anni senza
conoscere la lingua.
Come
è possibile??
Esistono
principalmente due classi sociali che, almeno apparentemente, possono
fare a meno del tedesco (almeno noi ne abbiamo incontrate 2).
1)Coloro
che lavorano in ambiti internazionali e hanno uno stipendio molto
alto. Queste persone usano prevalentemente l'inglese come lingua
veicolare, mandano i figli nella scuola internazionale (costo dai
14.000 ai 20.000 euro l'anno), dove le lezioni si tengono in inglese.
Per i bisogni quotidiani, esistono i supermercati, dove non si ha
bisogno di interagire, e professionisti che parlano inglese.
Qui,
quasi tutti parlano inglese e i soldi fanno il resto.
Queste, sono
solitamente persone che non hanno intenzione costruire la loro vita
in Germania, anche se magari rimangono qui 20 anni: sono generalmente
diplomatici, ingegneri e manager di grandi ditte.
Questo comporta
che, non solo non imparino il tedesco, ma che anche l'italiano venga
gradualmente abbandonato.
In casa
cercano di parlare la lingua madre, ma, quasi sempre, va a finire che
i figli parlino preferibilmente inglese tra di loro, con tanti saluti
alla lingua e alla cultura di origine.
Ultimamente ho conosciuto
alcune signore italiane che si trovano in questa condizione.
Hanno
tutte un buon livello culturale eppure molte sono insensibili alla
perdita della cultura italiana dei loro figli, tutte protese verso la
cultura inglese, come l'unica capace di garantire un futuro
prestigioso ai loro pargoli.
Forse hanno ragione loro.
Io voglio
ostinarmi a pensare che la cultura italiana sia una cultura forte,
oltre ad essere la cultura nella quale si è formato il nostro
pensiero e la nostra visione del mondo.
Credo che privarne i figli
significhi privarli di una parte della loro identità, di cui,
malgrado le contraddizioni attuali del nostro paese, dovrebbero
andare fieri.
2)All'altro
estremo della scala sociale, coloro che sono scappati dall'Italia in
anni passati (dagli anni 50 agli anni 70) in cerca di un lavoro che
potesse sfamare le loro famiglie.
Spesso provengono dal sud Italia,
con una conoscenza dell'italiano approssimativa.
Hanno trovato
lavoro, in ambiti in cui il tedesco non era necessario (in fabbriche
in cui erano già presenti connazionali o, nella ristorazione).
Ancora oggi questo è possibile.
Non si sono interessati ad imparare
la lingua per mancanza di mezzi (tempo, soprattutto) e perchè hanno
sempre pensato che un giorno sarebbero tornati a “casa”.
Molti,
ora che sono in pensione hanno provato a tornare nel paese d'origine,
ma sono ritornati qui dopo poco tempo perchè la loro vita, loro
malgrado, è qui. Qualcuno vive un po' qui e un po' in Italia, lamentandosi, naturalmente di entrambe le nazioni (il privilegio dell'essere emigrati).
Tutti costoro hanno potuto affrontare la vita quotidiana
grazie alla rete sociale che avevano intorno.
A Colonia, ad esempio c'è un quartiere italiano, la scuola italo-tedesca, dalle elementari alle
superiori e molti professionisti parlano italiano.
La stessa cosa
accade agli arabi, ai turchi e a tutte le etnie che hanno una
forte presenza in Germania.
Questo rende possibile creare una piccola
patria (o un ghetto, dipende dai punti di vista) in Germania.
I figli
di queste persone, generalmente trentenni ora, spesso hanno rifiutato
le loro origini italiane perchè sono state per loro fonte di
emarginazione ed imbarazzo.
Ne abbiamo incontrati alcuni che hanno
addirittura completamente e volutamente dimenticato l'italiano.
Sembra
paradossale, ma in entrambe i casi, il rifiuto del tedesco ha
portato come diretta conseguenza il rifiuto o, la poca considerazione, dell'italiano da parte delle seconde generazioni.
Nel
mezzo, quelli che vogliono tutto, quelli che vorrebbero che i loro
figli si integrassero in Germania senza dimenticare le radici e la
cultura italiana, quelli che seguono la strada incerta di un
equilibrio che non è mai scontato.
In mezzo ci siamo anche no,i che
ricordiamo ogni giorno ai nostri bambini le loro origini, che
lottiamo contemporaneamente contro il nostro falsch-Deusch (il
tedesco sbagliato) e contro le forme scorrette dell'italiano in cui
si esprimono, talvolta, i nostri figli.
A
metà tra Goethe e Dante c'è la nostra scommessa più grande.